Gli orrori della Cambogia

30 Novembre 2016

di Luca Mershed

Il Tribunale delle Nazioni Unite per la Cambogia ha confermato l’ergastolo ai due maggiori ex leader dei Khmer Rossi per l’accusa di crimini contro l’umanità: un verdetto che è stato ben accolto dai sopravvissuti del brutale regime.

“Il Fratello Numero Due” Nuon Chea, 90 anni, e l’ex Capo di Stato, Khieu Samphan, 85 anni, sono stati i primi alti dirigenti ad essere incarcerati nel 2014 dopo essere stati ritenuti responsabili della morte di fino a 2 milioni di cambogiani dal 1975 al 1979.

I due ex leader hanno accusato il Tribunale di aver commesso una serie di errori ed i giudici per non essere riusciti a rimanere imparziali a causa delle loro esperienze personali sotto il regime.

In una lunga sentenza tenutasi mercoledì scorso, dopo mesi di udienze, il giudice ha accolto la maggior parte delle condanne e le pene inflitte ai due ex Khmer Rossi anche se ha ammesso alcuni errori procedurali nella prima parte del processo.

La maggior parte delle vittime dei Khmer Rossi sono morte di fame, torture, esaurimento o malattie nei campi di lavoro (“Killing Fields”) o sono stati bastonati a morte durante le esecuzioni di massa.

Un quinto della popolazione è stato ucciso tra il 1975 ed il 1979.

Il Partito Comunista di Kampuchea (CPK), noto anche come il Khmer Rosso si è stabilito in Cambogia dal 17 aprile 1975 fino al gennaio 1979. Nel 1976, i Khmer Rossi hanno proclamato lo Stato Democratico di Kampuchea.

L’obiettivo del Partito è stato quello di stabilire uno Stato comunista senza classi, sulla base di un’economia agraria rurale ed un rifiuto completo del libero mercato e del capitalismo.

Secondo il Cambodia Tribunal Monitor, un gruppo che fornisce informazioni al tribunale che sta indagando sui crimini commessi durante il regime del CPK:

“Per fare questo, hanno abolito il denaro, il libero mercato, la scolarizzazione normale, la proprietà privata, gli stili di abbigliamento stranieri, le pratiche religiose e la cultura tradizionale Khmer. Scuole pubbliche, pagode, moschee, chiese, università, negozi ed edifici governativi sono stati chiusi o trasformati in carceri, stalle, campi di rieducazione e granai. Non c’era il trasporto pubblico o privato, la proprietà privata e forme di intrattenimento non rivoluzionarie. Le attività per il tempo libero sono state fortemente limitate. La gente in tutto il Paese, compresi i leader del CPK, ha dovuto indossare costumi neri, che sono stati i loro vestiti tradizionali rivoluzionari”.

Anche gli incontri pubblici sono stati vietati oltre a qualsiasi forma di rapporti familiari.

Il movimento comunista della Cambogia è emerso dalla lotta anticoloniale contro la Francia nel 1940. Nel marzo 1970, la monarchia del Paese è stata rovesciata dal filo-statunitense feldmaresciallo Lon Nol che ha intrapreso una lunga lotta armata contro le forze dei Khmer Rossi.

Entro l’inizio del 1973, nonostante una massiccia campagna di bombardamenti intrapresa dal Governo cambogiano con l’aiuto degli Stati Uniti, le forze dei Khmer Rossi controllavano circa l’85 per cento del territorio del Paese. Nel 1975, la capitale Phnom Penh è caduta difronte alle forze comuniste.

Fino al 1977, i vertici dei Khmer Rossi (noti come “Angkar Padevat”) lavoravano in segreto, con pochi al di fuori del partito consapevoli delle loro identità.

Il neo Governo di stampo comunista ha arrestato e ucciso migliaia di membri del Governo e dei regimi precedenti, tra cui soldati, politici e burocrati, che erano considerati “popolo non puro”.

Nel corso degli anni seguenti, centinaia di migliaia di intellettuali, professionisti, membri di minoranze e semplici cittadini sono stati ritenuti non conformi e per questo uccisi in una campagna sistematica per eliminare coloro che erano ritenuti “impuri”.

Molti sono stati trattenuti nelle carceri dove sono stati interrogati, torturati e giustiziati. Il più famoso di questi carceri, S-21, “ospitava” circa 14.000 prigionieri durante il suo massimo funzionamento. Secondo il Cambodia Tribunal Monitor, sono sopravvissute solo circa 12 persone da questo carcere.

Mentre le cifre sul numero di persone che sono morte durante il dominio dei Khmer Rossi sono contestate, la maggior parte delle stime dicono che si aggirano tra 1,4 milioni e 2,2 milioni di persone uccise.

Il Progetto del Genocidio Cambogiano presso l’università Yale stima che 1,7 milioni (il 21 per cento della popolazione) abbia perso la vita durante il regime dei Khmer Rossi.

Nel 2007, co-procuratori cambogiani ed internazionali presso le Camere Straordinarie delle Nazioni Unite e della Cambogia congiunte nei Tribunali della Cambogia (ECCC) hanno detto che gli atti commessi tra il 1975-1979 “costituiscono crimini contro l’umanità, genocidio, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra, omicidio, torture e persecuzioni religiose”.

Da allora, la ECCC ha lavorato per portare i leader specifici alla giustizia.

Il verdetto del Caso 001, il primo ad essere portato davanti al ECCC, è stato approvato il 3 febbraio 2011.

Il 21 novembre 2011, il tribunale ha attivato il Caso 002, mettendo sotto accusa tre dei primi quattro leader sopravvissuti dei Khmer Rossi: Nuon Chea (Vice Segretario del partito), Khieu Samphan (Capo di Stato della Kampuchea Democratica) e Ieng Sary (Vice Primo Ministro degli Affari Esteri della Kampuchea Democratica). Ieng Thirith, Ministro del Partito per gli Affari Sociali, è stato ritenuto incapace di sostenere un processo a causa di “demenza molto probabilmente causata dalla malattia di Alzheimer”.

Pol Pot, il leader del partito il cui vero nome era Saloth Sar, è morto nel 1998.

Il Caso 001 è stato suddiviso in una serie di fasi al fine di garantire che i giudizi potessero passare con delle accuse specifiche entro un periodo relativamente breve di tempo, a causa della cattiva salute dei rimanenti imputati.

Quasi 4.000 vittime e parenti delle vittime sono stati rappresentati collettivamente al processo da un gruppo di avvocati.

La Camera Suprema della Corte delle Nazioni Unite ha condannato Chea e Samphan di crimini contro l’umanità, omicidio, persecuzione per motivi politici e altri atti inumani oltre all’evacuazione forzata della capitale, Phnom Penh, dopo la caduta della città nel 1975.

“La Corte Suprema della Camera conferma la sentenza di ergastolo imposto dalla Camera di Primo Grado sia per Nuon Chea che per Khieu Samphan”, ha affermato il giudice Kong SRIM.

“Sono così felice per le condanne” afferma Chhun Leap, 74 anni, che ha perso circa 50 parenti durante gli anni del regime dei Khmer Rossi, dopo aver lasciato l’aula.

David Scheffer, l’inviato del Segretario Generale delle Nazioni Unite al tribunale, ha sottolineato che la sentenza ha inviato un messaggio ai leader di tutto il mondo.

“Mi limito a dire che, forse, la leadership della Corea del Nord deve prendere atto in particolare di ciò che è accaduto qui oggi”, ha comunicato Scheffer. “La giustizia internazionale non è in marcia indietro, ma in realtà sta andando avanti”.

Il Governo cambogiano ha, inoltre, accolto con favore la sentenza della Corte. “Esprimiamo la nostra speranza che questo processo e la consegna odierna del giudizio finale porti un certo sollievo per il dolore e la sofferenza delle vittime del regime e dei parenti delle persone uccise”, ha affermato il vice primo ministro Sok An, rivolgendosi ai sopravvissuti del regime dei Khmer Rossi.