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Immigrazione, le contraddizioni del Processo di Khartoum che affida la gestione dei migranti a regimi e dittatori

di Antonella Napoli (Italians for Darfur)
Quando un anno fa i rappresentanti dei paesi africani e dell’Unione Europea si riunirono a Khartoum per partecipare alla Conferenza regionale sul traffico di esseri umani organizzata dall’Unione Africana, la Farnesina annunciò che si stava compiendo “un salto di qualità importantissimo” nelle relazioni con gli stati dell’Africa sub-sahariana per “una cooperazione rafforzata e più efficace nella lotta contro l’emigrazione irregolare e la tratta di persone nel Mediterraneo”.
Su impulso del governo italiano si stavano gettando le basi per l’avvio di un dialogo rafforzato, il cosiddetto “Processo di Khartoum”.
Nella capitale del Sudan, tra il 13 e il 16 ottobre del 2014, furono stretti accordi su questioni migratorie poi formalizzati, un mese dopo, nell’ambito della IV Conferenza ministeriale euro-africana tenutasi a Roma il 27 e 28 novembre tra i ministri degli Esteri e degli Interni dei 28 Stati membri dell’Ue e dei paesi di origine e di transito della principale rotta migratoria che ha come destinazione l’Europa, la “Horn of Africa Migatory Route”, ovvero Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Tunisia.

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Antirazzismo 2.0

di Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti (Cospe)

Contrastare la diffusione dell’hate speech online contro migranti e minoranze attraverso l’educazione ai media e la responsabilizzazione delle testate giornalistiche. E’ questo l’ambiziosa strategia del progetto BRICkS che Cospe sta realizzando in collaborazione con il Centro Zaffiria ed organizzazioni in Germania, Belgio, Spagna e Repubblica Ceca.
Tutti gli studi recenti a livello nazionale ed europeo dimostrano che su siti web, blog e social network i discorsi di incitamento all’odio sono in aumento, soprattutto tra i giovani. L’ hate speech non è un problema nuovo, ma il suo impatto su Internet dà nuovi motivi di preoccupazione. Elefante nella stanza è stato definito da chi quotidianamente si trova a gestire il flusso dei commenti sui social , con la consapevolezza dell’urgenza di un’azione culturale ed educativa di contrasto alla proliferazione online di messaggi razzisti e violenti.

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Espellere l’odio dai media e formare le nuove generazioni di giornalisti

di Stefano Lamorgese, Vicepresidente Associazione Amici di Roberto Morrione

Non vorremmo più essere costretti ad ascoltare parole di odio. Non dai media: non dai giornali, né dalla rete. Non dalle radio, né dalle tv. Non dai giornalisti, almeno.
E invece accade. Accade ogni giorno, da anni: toni e parole violente diventano titoli di prima pagina, occupano i telegiornali, rimbalzano nei social media. Il ricorso ai mezzi più spicci e brutali – contro gli “zingari”, contro i “ladruncoli”, contro i “migranti”, contro i “fannulloni”, contro i “sindacalisti”, contro i “gufi”… contro qualsiasi avversario antico o recente – è invocato con parole di fuoco, lasciate sempre più irresponsabilmente libere di circolare. Strumenti razzisti di una lotta politica senza più regole.
Giudichiamo il fenomeno dai frutti che porta: pronunciate, scritte, trasmesse con l’intento di negare la dignità dei propri interlocutori, con il fine di minacciarne l’esistenza, con l’obiettivo di ridicolizzarne la personalità, i gusti, le inclinazioni – pur di raggranellare un pugno di consensi – le parole violente generano nuova violenza, fanno crescere l’odio. Un sentimento che, se alimentato, diviene irredimibile e viola i diritti elementari delle persone e finisce per minare alla radice il patto sociale che tiene insieme le comunità.

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Ricordando Padre Dall’Oglio

Prima iniziativa pubblica dell’associazione Giornalisti Amici di Padre Dall’Oglio a Roma il primo ottobre. Alle 19 nel programma “Tevere Democratico” sul barcone antistante l’Ara Pacis ci sarà un confronto pubblico con due giovani attivisti non violenti siriani che parleranno della tragedia del loro paese e delle speranze del popolo siriano. Sarà un modo per capire cosa è quanto ci sia di democratico libertario e non violento nel Paese: perché la Siria di Paolo Dall’Oglio c’è ancora.
“Don Milani diceva che il posto dei profeti è la prigione, ma non è bello per chi ce li mette. Ecco per noi padre Paolo è un profeta in prigione, un profeta di questo nostro tempo nel quale crescono odi che lui già anni fa ci aveva indicato. E per dire ai suoi sequestratori che non è bello quello che fanno a Paolo, nostro concittadino e siriano d’adozione, come a migliaia di siriani inghiottiti nel buio abissale di questa carneficina senza fine, abbiamo per senso civico e per urgenza professionale deciso di dare vita a questa associazione. Perché sia chiaro che possono sequestrare un uomo, ma non possono sequestrare la sua testimonianza umana, spirituale, culturale, politica, di fede e il suo impegno per il vivere insieme. Purtroppo sin qui non è andata proprio così. Ci chiediamo: quanti fiocchi gialli avete visto per lui? Quante gigantografie davanti ai nostri municipi?”.

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L’inchista “Fondi rubati all’agricoltura” vince la quarta edizione del Premio Morrione

A ottobre tutte e tre le inchieste in prima serata su Rainews24

5 settembre 2015 – E’ l’inchiesta “Fondi rubati all’agricoltura” di Diego Gandolfo e Alessandro di Nunzio a vincere la quarta edizione del Premio Roberto Morrione dedicato ai giovani giornalisti under 31.

La motivazione della giuria, presieduta da Marcella Sansoni, è stata la seguente: “Ciascuna delle tre inchieste ha portato elementi di novità e creativitàcome “Bestiario Criminale” di Eva Alberti, Susanna Combusti, Silvia Ricciardi, Federico Thoman

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#SAVECRISTINA. BAMBINA TRE ANNI SEQUESTRATA DA MILIZIANI ISIS

Padre Gambetti: portare le periferie al centro, al centro del cuore, includendo deboli, perseguitati e affamati

“Salviamo Cristina una bambina di tre anni sequestrata dalle milizie dell’Isis lo scorso agosto mentre era tra le braccia della mamma. Gli occhi di questa bimba hanno già visto troppo #SAVECRISTINA. Questo appello tocchi il cuore indurito dei terroristi”. Ecco il grido dei frati della Basilica di San Francesco d’Assisi che lanciano attraverso il loro sito www.sanfrancesco.org l’hashtag #SAVECRISTINA affinché venga liberata e possa tornare dalla propria famiglia.

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L’Italia riunisca ad Assisi i sostenitori delle Nazioni Unite e promuova il suo rilancio

di Flavio Lotti (Tavola della pace)

“Non è esagerato dire che siamo sulla soglia della terza guerra mondiale”. Il supermiliardario George Soros non usa giri di parole per descrivere i pericoli che stiamo correndo. Ad ascoltarlo nel quartier generale della Banca Mondiale a Washington ci sono i capi delle principali istituzioni finanziarie mondiali. Per evitare questo rischio, continua Soros, “bisogna unire le sfere economiche degli Stati Uniti e della Cina. Senza di questo c’è il pericolo reale che la Cina si unisca politicamente e militarmente alla Russia e allora la minaccia di una terza guerra mondiale diventerebbe realtà. La strada da percorrere è difficile ma l’alternativa è così sgradevole che vale la pena di provarci.” Lo scenario descritto dal celebre finanziere americano allude ad una delle tre principali lotte di potere che stanno devastando il mondo: la lotta per il denaro, la guerra valutaria che rischia di veder soccombere il dollaro. La seconda grande lotta di potere che sta infiammando il pianeta è quella per il controllo mondiale delle ultime terre coltivabili e delle ultime risorse naturali rimaste. La terza è quella meno occultata che sta divorando centinaia di migliaia di vite umane nel mondo islamico: la guerra selvaggia tra sciiti e sunniti.

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Darfur: mezzo milione di morti e 2 milioni di sfollati

Quando il Segretario di Stato americano Colin Powell nell’agosto del 2004, tornando da una missione in Sudan, definì ciò che stava avvenendo in Darfur come “il primo genocidio del 21esimo secolo” si accesero all’istante i riflettori sul conflitto che dal febbraio del 2003 stava dilaniando la regione occidentale sudanese.
La presa di posizione statunitense apparve come un banco di prova per la comunità internazionale che avrebbe potuto dimostrare di essere finalmente in grado di fermare, compattamente, le atrocità di massa.
Ben presto, poi, emerse l’ineluttabilità del fallimento dell’azione contro il regime del presidente Omar Hassan al-Bashir, ex generale giunto al potere grazie a un colpo di stato nel 1989.
Oggi quei riflettori sono spenti e l’attenzione mediatica sul dramma del Darfur è finita. Non sono però finiti i massacri, i soprusi, gli stupri e ogni genere di violazioni dei diritti umani contro la popolazione che ormai è in condizioni al limite della sopravvivenza.

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I giovani sfidano la crisi con l’economia sociale: il 5 a Fermo la Campagna “Change the Economy”

Oltre 11 milioni di persone, circa il 4,5% del totale, sono occupate nelle oltre 200mila cooperative e imprese sociali europee. È il settore che, come dimostra uno studio dell’ILO, continua a crescere e produrre ricchezza e benessere. Ma ciò che lo caratterizza è il tipo di ricchezza prodotta, non solo economica ma soprattutto sociale e ambientale, nel rispetto della natura che ci circonda, promuovendo un sistema di welfare inclusivo e partecipato, uno sviluppo sostenibile che si faccia carico delle disuguaglianze globali e una democrazia economica in cui i consumatori sono responsabili delle proprie scelte.
Questa è l’economia sociale e solidale della Campagna “Change the Economy”:
Ala Campagna è promossa in Italia dai Giovani Agenti del Cambiamento (Young Globale Advocates – YGAs), che presentano progetto Challenging the Crisis, co- finanziato e promosso dalla Commissione Europea, che coinvolge sette partner e oltre 200 ragazzi in sei paesi Europei (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Slovenia).

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Campagna: “Non è un viaggio. È una fuga. Aiuta i bambini in pericolo”

Per decine di migliaia di bambini, attraversare i Balcani o il mar Mediterraneo non è un semplice viaggio: è una fuga disperata, una scommessa con l’ignoto che ha come posta in palio la sopravvivenza.
In Siria come in Afghanistan, Iraq, Nigeria, Eritrea o Sudan, all’origine di ogni migrazione c’è una storia fatta di guerra, terrore, violenza e persecuzione.
Con la campagna “Bambini in pericolo” l’UNICEF chiede a tutti i suoi sostenitori di contribuire con una donazione a intensificare gli interventi per i minori nei paesi all’origine dei flussi migratori che stanno investendo l’Italia e l’Europa.

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