Burkina Faso: Al Qaeda, l’Occidente e la democrazia

17 Gennaio 2016

Di Antonella Napoli (Italians for Darfur)

Gli attentati in Burkina Faso non avevano solo l’obiettivo di colpire gli occidentali, Al Qaeda per tornare a seminare il terrore ha scelto un paese che aveva iniziato un percorso di democratizzazione. Ma prima di tutto le vittime predestinate al sacrificio sull’altare della jihad sono stati coloro che rappresentano tutto ciò che l’estremismo islamico avversa.

Il commando qaedista ha preso di mira l’Hotel Splendid di Ouagadoudou, la capitale del Burkina Faso. Il bilancio delle vittime non è ancora definitivo ma si parla di almeno 20 morti, mentre circa trenta persone che erano state prese in ostaggio sono state liberate in seguito al blitz delle teste di cuoio. La struttura è frequentata da occidentali e personale delle Nazioni unite così come il l “Cappuccino Café”, cuore di un altro attacco simultaneo.
Il locale, di proprietà di un italiano, si trova sulla centralissima Avenue Nkrumah, accanto all’albergo, obiettivo principale dell’attacco terroristico. Entrambi sono punti di riferimento per i visitatori italiani e occidentali nella capitale del Paese africano. Al momento il bilancio parla di una ventina di vittime.
E potevano essere molte di più se il blitz delle teste di cuoio scattato nella notte: non avesse portato alla liberazione di 126 persone prese in ostaggio dai jihadisti. Trentatre fra gli ostaggi liberati sono feriti. Tre terroristi sono stati uccisi, un arabo e due neri africani.
L’unità di crisi della Farnesina ha per il momento escluso ci siano vittimi tra le vittime.
L’attentato a Ouagadoudou arriva pochi mesi dall’elezione di Roch Marc Kaboré, che con oltre il 53% dei voti ha vinto le presidenziali dello scorso novembre al primo turno.
Il nuovo presidente del Burkina Faso, il secondo civile a diventare capo dello Stato negli ultimi 30 anni, aveva subito annunciato un’azione e riforme per avviare un processo di democratizzazione.
La sua elezione aveva dal primo momento rappresentato un momento fondamentale per lo Stato africano, governato finora da leader arrivati al potere con colpi di stato.
Ex primo ministro, 59 anni, Kaboré è stato anche presidente dell’Assemblea nazionale sotto il regime di Blaise Compaoré, rovesciato da una rivolta popolare nell’ottobre del 2014, suscitata dal tentativo dello stesso Compaoré di modificare la Costituzione per assicurarsi un ulteriore rinnovo del mandato.
La tornata presidenziale dello scorso anno, che era programmata in un primo momento ad ottobre, era stata rinviata dopo un tentativo di golpe da parte della guardia presidenziale il 16 settembre 2015.
Grazie all’accordo raggiunto sei giorni dopo tra l’esercito regolare e le forze golpiste che avevano rovesciato il governo di transizione, lo stato di emergenza era rientrato.
Anche per questo quelle che hanno portato Kaboré al potere, scelto tra 14 candidati chiamati a rimpiazzare il governo di transizione messo in piedi dopo l’uscita di scena di Compaoré, al potere dall’87, sono state elezioni storiche.
Un voto libero e democratico. Un successo inimmaginabile per un popolo che per la maggior parte della sua storia, dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, è sempre stato soggetto a dittature di lungo corso.
E forse per questo diventato un simbolo da abbattere.

 

Foto: “Ouagadougou place nations unies” di Helge Fahrnberger – Opera propria (www.helge.at)
Licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons