Manifestazione macchiata con il sangue: le forze dell’ordine uccidono 12 persone

14 Gennaio 2016

di Luca Mershed (Italians for Darfur)

 

Nella regione del Darfur, il nuovo anno si è aperto con un fatto gravissimo riguardo al tema dei diritti umani: durante una manifestazione nello Stato dell’Ovest Darfur le forze di sicurezza hanno sparato su dei manifestanti uccidendone 12. Questo preoccupante fatto avviene nonostante che da mesi si stia discutendo un processo di pace tra le parti in conflitto (Governo e diversi gruppi ribelli dislocati nella regione del Darfur).

Temendo attacchi da parte delle forze dell’ordine, i rifugiati interni sono fuggiti dal villaggio Moli, 20 km a sud di El-Genaina, verso la Capitale dello Stato con lo scopo di dirigersi verso la sede del Governo dello Stato dell’Ovest Darfur. Le autorità di sicurezza locali, però, li hanno evacuati con la forza causando la morte di alcuni manifestanti.
Il Portavoce del Governo dello Stato, Abdallah Mustafa, ha affermato che gli abitanti del villaggio si sono diretti verso El-Genaina, nella speranza di trovare rifugio nei vicini campi di sfollati.
Mustafa ha confermato che “una forza di sicurezza ha aperto il fuoco su centinaia di sfollati durante una manifestazione presso la sede del Governo dell’Ovest Darfur mentre protestavano contro gli attacchi dei miliziani filo-governativi nel villaggio Moli, situato a 20 km a sud di El Geneina”.
A seguito di condanne da parte della società civile e notizie contrastanti sul numero degli uccisi nell’incidente, un funzionario locale ha ammesso che almeno 12 persone sono morte negli scontri. Anche il commissario della contea di Nyala, al-Taher Abdel Rahman Badre Eddin ha confermato che 12 persone sono state uccise e molte altre sono state ferite.
Sembra che tutti gli sforzi portati avanti per mettere in atto un cambio reale, all’interno del Sudan, appaiono inutili a causa delle continue violazioni dei diritti umani da parte del Governo e delle rappresaglie dei gruppi ribelli. Nonostante le difficoltà, in molti credono ancora in una pacificazione concreta e rapida all’interno del Paese. Un sintomo di ciò è stato l’annuncio di una Carta per la pace proposta da due dei principali gruppi ribelli (Il Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (JEM) ed il Movimento per la Liberazione del Sudan-Minni Minnawi (SLM-MM).
L’annuncio è stato dato martedì 12 gennaio in seguito ad una riunione tenutasi a Parigi tra il Vice Primo Ministro del Qatar, Ahmed bin Abdallah al-Mahmud, il Capo del JEM, Gibril Ibrahim, e il Presidente dello SLM-MM.
All’inizio della settimana scorsa, i due leader dei gruppi ribelli avevano sottolineato che l’incontro era stato organizzato per discutere la loro richiesta di aprire il testo quadro per i negoziati con il funzionario del Qatar che aveva co-mediato per la stesura Documento di Doha per la Pace in Darfur (DDPD).
Il terribile massacro è stato segnalato anche da Amnesty International Sezione Italiana che ha postato sul proprio profilo facebook la notizia del fatto. Non è la prima volta che i cittadini del Darfur vengono “puniti” per aver espresso –semplicemente- la propria opinione.
In molti casi, si è visto come il Governo abbia sequestrato copie di alcuni quotidiani, solo perché denunciavano qualcosa reale ma scomodo per i rappresentanti dello Stato. Uno dei casi più recenti è avvenuto quando il direttore del giornale al-Tayar, Osman Mirghani, ha ferocemente criticato il Ministro delle Finanze per aver annunciato una nuova fase di tagli ai sussidi sul carburante, l’elettricità ed il grano. Il quotidiano aveva, anche, accusato il Ministro per aver descritto il Sudan come “una Nazione consumista e non produttiva”.
Si può dedurre che la situazione in Sudan (ed in particolare in Darfur) sia sfuggita di mano sia al Governo che alla comunità internazionale. Difatti, le tante violazioni dei diritti umani ed il genocidio in atto continua a rimanere impunito nonostante sul Presidente del Sudan, Omar al-Bashir, pende un mandato di cattura internazionale, emanato dalla Corte Penale Internazionale, per gli atti commessi durante il suo mandato presidenziale.