Messico il rischio di essere giornalisti

15 Febbraio 2016

di Tonio Dell’Olio, Libera International

Tra non molto dovremo rassegnarci a non aver più alcun punto di riferimento di giornalisti in Messico e non perché nel frattempo saranno scomparsi perché uccisi o inghiottiti nelle nebbie della desapariciòn. Semplicemente perché cresce il numero di chi, per difesa personale adotta uno pseudonimo per firmare gli articoli più pericolosi, altri sono firmati collettivamente dalla redazione e alcuni tra i più validi giornalisti sono stati costretti a chiedere asilo negli Stati Uniti come rifugiati con le loro famiglie.

Ma mi è successo anche che, visitando la redazione di un giornale di Ciudad Juarez, la città più violenta al mondo, mi chiedessero di parlare a bassa voce perché potevamo essere ascoltati da colleghi che forse hanno contatti con i narcos o con settori corrotti delle istituzioni. Forse sono costretti a farlo per minacce o intimidazioni contro le loro famiglie, o peggio sono al soldo dei cartelli.

L’omicidio di Anabel Flores Salazar, 32 anni e madre di due bambini in tenerissima età, freelance a Orizaba nello Stato di Veracruz, finisce per non destare più scalpore e, forse, nemmeno per indignare. Ci si sta facendo l’abitudine. L’associazione Articulo 19 e le istituzioni governative a protezione della libertà di stampa concordano nel numero di 23 giornalisti uccisi negli ultimi dieci anni. Il Messico si conferma come il Paese più pericoloso in assoluto per chi informa l’opinione pubblica.

Nell’aprile del 2013 dovevo incontrare alcune organizzazioni sociali a Oxaca e Marcela, un’amica giornalista a capo di Periodistas de a piè, una delle organizzazioni collegate con Libera in Messico, mi chiese di poter partecipare a una manifestazione di solidarietà per Pedro Matias un giornalista di una testata locale che aveva ricevuto pesanti minacce. Nella piazza della chiesa di Santo Domingo eravamo un gruppo sparuto, ma il giorno dopo i giornali e le televisioni parlavano di un appoggio internazionale che può funzionare come deterrente. Ed è l’appello che dobbiamo continuare a lanciare perché il governo messicano appare particolarmente preoccupato di difendere la propria immagine nel mondo.

Bisogna continuare a denunciare quella violenza che non è il semplice risultato dell’attività dei potentissimi cartelli della droga ma piuttosto il combinato disposto di criminalità, corruzione e impunità totale.

Giovedi mattina il corteo funebre della Flores era accompagnato da circa 20 tra poliziotti municipali e federali. Se gli stessi fossero stati impiegati nella protezione della giornalista o avessero partecipato alle ricerche della stessa, forse quel funerale si sarebbe evitato.