Colloqui ‘senza pace’ in Siria

24 Novembre 2017

di Antonella Napoli*

Sahar aveva un mese. Yassin era nato da soli quindici giorni. Ahmed non ha mai visto la luce morendo nel grembo della madre che non mangiava da 5 giorni. Sono solo alcune delle ultime vittime del conflitto siriano, della fame e degli stenti a cui è sottoposta la maggior parte delle popolazioni dei villaggi e delle città sotto assedio in Siria di cui ci raccontano le storie i volontari di Msf e Unicef. Sahar, Yassin, Ahmed come Aylan, Omran e i tanti bambini – simbolo di una guerra che ha cancellato il futuro di un’intera generazione. Volti, storie strazianti, destinati all’oblio dopo aver fatto il giro del web.Nonostante la caduta di Raqqa e i successi militari che hanno ridotto al minimo la presenza e la forza dell’Isis la situazione nel paese resta drammatica.
Solo un reale tentativo di ripresa dei colloqui per una pace duratura, che appare ancora una chimera, potrà contribuire davvero alla fine delle ostilità.
La speranza che il processo di pacificazione possa proseguire sulla strada del compimento della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per una soluzione politica, è aggrappata al tavolo della mediazione in corso a Ginevra.
Ma tutti noi abbiamo la consapevolezza che si potrà procedere in tal senso solo se l’opposizione siriana, finora frammentata, sarà in grado di presentare una posizione e una delegazione unificate ai colloqui.
Per ora la resistenza parla di “un accordo comune raggiunto” sulla partecipazione ai colloqui con i rappresentanti del presidente Bashar al Assad fissati per domani.
Durante una conferenza stampa a Riad, al termine della due giorni di congresso di tutte le forze di opposizione siriane, è stata annunciata la scorsa settimana l’elezione di un consiglio composto da 50 membri che pone, quale obiettivo della conferenza di Ginevra, “l’avvio della fase transitoria di potere in Siria, a partire dall’estromissione di Assad”.
Gli oppositori hanno dunque risposto positivamente a De Mistura il 22 novembre, che li aveva sollecitati “a essere responsabili” intervenendo insieme al ministro degli Esteri del paese ospitante, Adel al Jubeir, all’apertura del congresso organizzato dall’Arabia Saudita.
Il capo della diplomazia di Riad ha tenuto a sottolineare che l’iniziativa era stata promossa “per garantire una svolta concreta nel conflitto”.
L’incontro è avvenuto dopo le dimissioni dei membri della vecchia Commissione, tra cui il responsabile dell’Alto comitato negoziale Riyadh Hijab. Hadi al Bahara, membro della Coalizione nazionale delle forze rivoluzionarie dell’opposizione siriana.
Gli analisti ritengono che il nuovo corso possa portare a un cambiamento dell’impostazione delle forze rivoluzionarie, civili e politiche, e favorire la formazione di una delegazione che parli con una sola voce a nome dell’opposizione.
L’iniziativa saudita segue il vertice trilaterale sulla Siria di Sochi, in Russia, a cui hanno preso parte i presidenti russo Vladimir Putin, l’iraniano Hassan Rohani e il turco Recep Tayyip Erdogan.
L’incontro era stato preceduto da una riunione dei capi di Stato maggiore dei tre paesi che hanno discusso i recenti sviluppi del conflitto.
Durante il confronto è stata esaminata la situazione nel paese alla luce degli accordi raggiunti durante i colloqui di pace ad Astana, in Kazakistan.
In particolare l’attenzione è stata puntata sulle quattro zone di sicurezza in Siria e dell’osservanza del cessate il fuoco tra le varie fazioni siriane.
Nel corso dell’incontro è emersa una novità importante. A fronte dell’invito dei mediatori, il governo di Assad si è dichiarato favorevole a un faccia a faccia con l’opposizione “in tempi brevi”.
Damasco ha fatto sapere che “la Siria sostiene qualsiasi azione politica che rispetti la sua sovranità e integrità territoriale e aiuti a porre fine allo spargimento di sangue siriano”.
L’augurio e l’aspettativa di addetti ai lavori, dalla diplomazia alle organizzazioni non governative, è che a Ginevra le parole e gli annunci di entrambe le parti si trasformino in fatti e la sofferenza di questo popolo stremato da sei anni e mezzo di guerra possa finalmente terminare.

* Dall’Huffington Post