Archives

Arte e diritti umani. Katanani, artista profugo che racconta i rifugiati

“Il mio lavoro vuole richiamare l’attenzione non solo sulla causa dei palestinesi, ma su tutti coloro che vivono in uno stato di precarietà” ha esordito così Abdul Rahman Katanani l’artista palestinese protagonista di un evento al Senato della Repubblica su diritti umani, buona informazione e arte.  …Leggi tutto »

Guerra alla ragione

di Fernando Cancedda

Dovrebbe apparire ovvio, ma non lo è. Il terrorismo è per definizione un’azione dimostrativa, che si propone come obiettivo principale di suscitare emozioni e sentimenti sia nelle popolazioni colpite che tra i fanatici che ne apprezzano l’uso. Reazioni di paura e di vendetta nelle prime, di soddisfazione e di orgoglio nei secondi. …Leggi tutto »

Ilvo Diamanti: Italiani contro Schengen

di Gian Mario Gillio

Queste tendenze emergono dal IX Rapporto sulla sicurezza in Europa, curato da Demos e dall’Osservatorio di Pavia, insieme alla Fondazione Unipolis. La nostra intervista al sociologo Ilvo Diamanti

Professor Diamanti, su Repubblica lei scrive che in materia di rifugiati e richiedenti asilo gli italiani hanno paura: «via Schengen, sì alle frontiere». Sino ad oggi credevamo di primeggiare in tema di accoglienza in Europa. Non è così?

«Non è una novità clamorosa la nostra indagine. In effetti l’apertura delle frontiere, come oggi ho scritto, costituisce ed ha costituito un risultato importante, forse addirittura più importante della costituzione della moneta unica nel processo unitario, ossia di Europa unita. La moneta infatti riguarda il mercato, che sicuramente ha a che fare con la vita quotidiana delle persone e dell’economia più in generale, ma la moneta e i mercati non hanno frontiere né confini, non ne hanno mai avuti. Le persone ovviamente sì. I capitali possono viaggiare senza che nessuno chieda loro il passaporto, le persone sono soggette invece a tale controllo. Viviamo in un tempo di grandi movimenti e dunque è comprensibile che la discussione focalizzata sulla situazione europea faccia emergere nuove paure, di cui abbiamo voluto dare conto proprio oggi con la nostra indagine; da dieci anni lavoriamo su questi temi con Demos, l’Osservatorio di Pavia e la Fondazione Unipolis. Abbiamo rilevato che il flusso e la gerarchia delle incertezze e delle paure che pervadono le persone è sensibilmente aumentato proprio in questi ultimi anni. Il Rapporto che presenteremo il prossimo 15 marzo a Roma presso la Camera dei Deputati, mostra l’esistenza e l’evidenza di un grado di insicurezza generalizzato, molto elevato. Ovviamente questo grado di insicurezza non riguarda solamente l’Italia: c’è infatti in tutta Europa una grande maggioranza di persone che ritiene che il Trattato di Schengen debba essere quantomeno ridimensionato».

I numeri in Italia a tal proposito sono davvero allarmanti: lei sostiene che sei italiani su dieci non credono più al Trattato di Schengen, anche all’interno dalla forza politica di maggioranza, il Pd. Conferma?

«Tenga conto che questa indagine rileva le percezioni, quindi gli orientamenti delle persone. In realtà misura il clima d’opinione. Abbiamo scandagliato la base potenziale e i simpatizzanti di diversi partiti e i risultati sono questi: nel Pd quattro persone su dieci sono contrarie a Schengen, rispetto ai 7 su 10 di Forza Italia, 8 per la Lega Nord, ma anche il 55% di elettorato vicino al Movimento Cinque Stelle sostiene la posizione più radicale, ossia che vengano immediatamente rispristinati i controlli alle frontiere. Questo è un dato che riflette il sentimento delle popolazione. In Germania il 19% e da noi, in Italia, il 56% del totale della popolazione sostiene la sostanziale chiusura – il controllo – alle frontiere, dunque il ripristino di un Europa precedente al Trattato di Schengen. In Spagna il 25%. Il 40% in Francia. I favorevoli a mantenere Schengen così com’è, in Italia, sono il 13%, più o meno come in Francia dove la situazione è decisamente più difficile e sicuramente la richiesta di controlli più motivabile. Ammesso che sia possibile poter controllare un mondo così globalizzato come il nostro».

Eppure la politica italiana, in tema di migrazioni e accoglienza, sembra andare in senso contrario alle chiusure europee. Il presidente delle Repubblica e solo ieri anche il papa, hanno ricordato favorevolmente il progetto pilota dei corridoi umanitari che la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), la Comunità di Sant’Egidio e la Tavola valdese stanno attuando insieme ai ministeri dell’Interno e degli Esteri. La politica, le chiese e il mondo associazionistico non rappresentano dunque la società civile?

«Rispetto ad altri paesi noi oggi siamo, e siamo sempre stati, molto esposti. Magari non quanto la Grecia e i Balcani in questa particolare fase, ma siamo un paese di frontiera, un ponte sull’Africa, sul Nord Africa, un luogo attraversato da persone in fuga e deportate da trafficanti di esseri umani – una componente quest’ultima non irrilevante dei flussi che regolarmente arrivano nel nostro paese, ma che sono in realtà il prodotto del lavoro sporco dei mercanti di persone. Nonostante tutto e malgrado l’accoglienza che le nostre Istituzioni cercano di garantire – c’è la paura. Non dobbiamo stupirci che il mondo faccia paura. Nel momento in cui ci si sente esposti all’esterno con “l’altro” che incombe nel nostro spazio, nella nostra territorialità, le paure aumentano. Noi viviamo costantemente l’approdo di persone sulle nostre coste: questo fatto crea enfasi, paure ma anche pietà, dopo un primo periodo di ostilità e opposizione iniziale. Nei confronti di rifugiati e migranti prevale in generale un atteggiamento di accoglienza perché la società italiana ha una “densità solidale e associativa” molto presente, se questa “densità solidale” la si ritiene minacciata prende il sopravvento l’inquietudine. Inquietudine che tuttavia non è sinonimo di ostilità».

Secondo lei, Diamanti, il progetto dei corridoi umanitari potrebbe essere sviluppato su larga scala e in tutta Europa?

«Come tutti gli esperimenti, andrebbe verificato nel tempo. Credo che sia stato avviato e attivato anche per poter testare su un piano diverso da quelli attuali un modello diverso di accoglienza per un fenomeno che dev’essere in qualche modo normalizzato e che vede da una parte la dimensione emergenziale e dall’altra quella necessaria dell’accoglienza. Quando un fenomeno è riconoscibile e controllabile, in generale, si registra meno inquietudine. Sono sempre ottimista, anche per questa lodevole iniziativa, fatta salva la verifica dei fatti e dei dati nel tempo».

A proposito di inquietudini e paure, generati spesso proprio dai media. Lei ha presentato poco tempo fa il rapporto della Carta di Roma su media e “Notizie di Confine” cosa è emerso?

«I motivi di tanto allarme sono costituiti, da una parte, dal fenomeno migratorio cresciuto fortemente in questi ultimi anni e, dall’altra, anche dalla visibilità che il fenomeno ha ottenuto grazie alla diffusione dei media. Una visibilità in parte fondata su dati oggettivi e dall’altra scaturita da dalla retorica dei luoghi comuni e degli stereotipi, come quello “dell’invasione”, ad esempio. Una retorica che ha fornito elementi per una spettacolarizzazione televisiva e per alcuni partiti una sponda sulla quale appoggiarsi, politicamente. Ovviamente questo avveniva molto di più nel passato che oggi. Dal punto di vista mediale esiste oggi un controllo diverso dell’informazione data rispetto al passato, c’è più attenzione, cura, più controllo al flusso di notizie su questo tema, un’alfabetizzazione che nel tempo si è cementata anche grazie alle Carte deontologiche e alle Associazioni come la Carta di Roma che cercano di attuarne le linee guida. Una cosa che invece i media spesso non sottolineano abbastanza è l’altra faccia delle nostre paure. Ossia la nostra fragilità demografica. Noi siamo un paese in declino con un saldo demografico negativo, dove i profughi e gli immigrati sostano con la speranza di potersene andare altrove il più velocemente possibile. Il paese di destinazione privilegiato è la Gran Bretagna. L’immigrazione può anche generare inquietudine ma è un buon indicatore dello sviluppo di un paese. Quando chi arriva non ha nessuna intenzione di fermarsi e chi già da tempo, residente, dimostra l’interesse di andarsene, vuol dire che le cose in casa propria non stanno affatto andando bene».

Turchia, Non vi immischiate

di Massimo Marnetto

Non vi immischiate su come trattiamo la stampa dissidente, altrimenti vi bombardiamo di migranti. …Leggi tutto »

L’Orso d’Oro a Lampedusa

di Elisa Marincola

Il mio pensiero va a coloro che non ce l’hanno fatta”. Gianfranco Rosi, regista di Fuocoammare, ha salutato così la consegna dell’Orso d’Oro, il massimo premio della Berlinale, la rassegna cinematografica berlinese che ha dedicato questa 66esima edizione proprio al dramma dei profughi, che il documentarista ha raccontato, seguendo per più di un anno le vicende dei superstiti sbarcati sull’isola, la loro disperazione, le difficoltà degli isolani e l’accoglienza che, nonostante tutto, offrivano a quelle famiglie sopravvissute a guerre, violenze e, infine, al mare. Rosi ha voluto con sé sul palco Pietro Bartolo, il medico lampedusano che offre le prime cure a quanti sbarcano. Durante le lunghe riprese e il montaggio, tutto realizzato a Lampedusa, lo ha inserito tra le voci narranti del film. E Bartolo spiega così le radici di quella generosità: “Noi siamo un popolo di pescatori e i pescatori accettano tutto quello che viene dal mare”.
Film eccitante e originale, la giuria è stata travolta dalla compassione. Un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature. È esattamente quel che significa arte nel modo in cui lo intende la Berlinale. Un libero racconto e immagini di verità che ci racconta quello che succede oggi. Un film urgente, visionario, necessario“: è il giudizio letto dalla presidente della giuria, Meryl Streep. Ma Fuocoammare è stato davvero il vincitore dell’intera rassegna, raccogliendo anche i premi di tre delle giurie indipendenti, tra cui il riconoscimento della sezione tedesca di Amnesty, ma anche il favore dei lettori del quotidiano Berliner Morgenpost. Un segno che non solo la critica, gli addetti ai lavori o le organizzazioni umanitarie, ma anche gli spettatori tedeschi hanno compreso il valore di un’opera che racconta una realtà dura, l’incontro tra fuggitivi e popolazioni locali, un incontro faticoso e drammatico che sta mettendo a dura prova la tenuta dell’intera Europa come si è formata da settant’anni a questa parte.
A essere premiate sono anche l’isola, porta d’Europa nel pieno del Mediterraneo, e la sua sindaca Giusi Nicolini, che continua a battersi per salvare vite e, insieme, mantenere unita e solidale una comunità in difficoltà.
L’Orso d’oro consacra a sua volta anche un genere, il documentario, che proprio Rosi ha saputo portare al grande pubblico, prima con “El Sicario”, sul narcotraffico in Messico, e poi con “Sacro Gra”, vincitore a Venezia nel 2013. Un genere che racconta la realtà attraverso i suoi protagonisti autentici, lasciando il segno sullo stesso regista, che prima di lasciare il palco ha lanciato un richiamo alla platea: “Per la prima volta l’Europa sta discutendo seriamente alcune regole da fissare, io non sono contento di ciò che stanno decidendo. Le barriere non hanno mai funzionato, specialmente quelle mentali. Spero che questo film aiuti ad abbattere queste barriere“.

Nell’anno della Misericordia

 di Roberto Reale

Solo i più duri di cuore hanno dimenticato l’emozione provocata dalla foto del piccolo Aylan: il suo corpicino raccolto sulle spiagge turche da un poliziotto che pareva svestito dalla sua durezza. Un gigante buono che si muoveva sulla “spiaggia delle morte” con toccante delicatezza e pietà.

Da allora sono centinaia i bimbi annegati in un braccio di mare che divide le isole greche dalla Turchia. Ma le emozioni si sono stemperate, in Siria la fuga dalle bombe e dai missili che tutto distruggono è proseguita ma la UE pensa a muri, si divide su responsabilità, soldi, modalità di intervento.

In questo contesto (più o meno documentato dai media ma rimasto ormai lontano dalle nostre coscienze relegato sullo sfondo delle nostre priorità informative) arriva dalla Gran Bretagna una notizia che sembra pazzesca.

La riferisce il quotidiano The Independent http://www.independent.co.uk/news/uk/politics/theresa-may-under-pressure-to-oppose-plans-that-could-criminalise-charities-who-help-syrian-refugees-a6858431.html . In sintesi si tratta di questo. L’opposizione al Parlamento di Londra ( fra loro il leader dei liberali ) chiede al ministro degli Interni Theresa May di opporsi a una nuova legge europea che criminalizza le Ong e i volontari che prestano assistenza ai rifugiati nelle isole greche. Messa così pare una notizia incredibile. Ma il giornale cita la bozza di un documento esistente e riferisce che nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’Interno UE diversi partecipanti avrebbero chiesto proprio questo: di fermare i volontari, equiparare la loro attività a quella dei trafficanti.

La logica sarebbe quella di fare “terra bruciata” davanti ai profughi, costi quel che costi ( in vite umane).

“Finora non avete fatto nulla per aiutare chi fugge verso l’Europa, ora vorreste impedire a altri di soccorrerli” scrivono giustamente i parlamentari britannici alla May.

In Italia di tutta questa storia non sappiamo nulla. Da noi prevale l’attenzione per gli aspetti contabili legati alla disputa di bilancio fra il nostro governo e la Commissione europea. E’ bene però che ci sia un po’ di attenzione dell’opinione pubblica su questa vicenda: troppe volte a livello europeo sono state assunte decisioni sbagliate se non controproducenti frutto di mediazioni burocratiche fra funzionari e politici miopi o peggio. Il 10 marzo ci sarà la decisione dei ministri, sarà bene che l’informazione circoli pure da noi.

Certo è pazzesco che quel fiume di povera gente che ogni tanto intravediamo nelle cronachehttp://www.repubblica.it/esteri/2016/02/05/news/siria_migliaai_in_fuga_da_aleppo_turchia_chiude_confine-132772201/ porti al prevalere di egoismi e paure piuttosto che a un briciolo di solidarietà. La pietà è più facile riservarla a altri esodi storici, quelli che ormai non ci costano più nulla.

Certo che criminalizzare le associazioni umanitarie è proprio il massimo della nefandezza. In quella prima linea dell’Europa sulle coste greche a soccorrere degli esseri umani, cui i trafficanti hanno venduto finti giubbotti salvagente e imposto la roulette russa di traversate su barconi fatiscenti, ci sono solo loro, i volontari. Non fanno arrivare nessuno da noi: si limitano a soccorrere. E allora la domanda diventa un’altra: nell’anno della Misericordia in realtà dove stiamo andando? Notizie così sembrano dirci che c’è chi vuole portarci esattamente dalla parte opposta. E sapete come si definisce il contrario della compassione? Il dizionario Treccani ci è di aiuto: si chiama ferocia, implacabilità, inumanità, spietatezza Che brutta Europa hanno in mente alcuni. E il dramma nel dramma è che nemmeno la crudeltà servirà a raggiungere il suo scopo vero, non riuscirà certo a fermare chi non ha proprio più nulla da perdere. Rende solo peggiori tutti noi.