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Giornata contro la tortura

di Ilaria Cucchi

Oggi si celebra la 18esima Giornata Internazionale contro la tortura.  Oltre 223mila cittadini hanno firmato il mio appello per chiedere l’introduzione di questo reato in Italia.
Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti”. Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 5
Adesso condividi questo video e invita altre persone a firmare:


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25-26 giugno “twitter action” per Giulio

di Antonella Napoli

Il 25 gennaio spariva nel nulla in Egitto Giulio Regeni, ricercatore italiano ritrovato poi morto il 3 febbraio lungo una strada periferica che dal Cairo si estende fino ad Alessandria. Il 25 giugno, a cinque mesi dalla sua scomparsa, e il 26, data in cui ricorre la Giornata internazionale per le vittime della tortura, Amnesty International ha promosso una mobilitazione per riportare all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica il caso Regeni. …Leggi tutto »

Egitto cambia strategia

di Elisa Marincola

La vicenda diplomatica e investigativa sulla tortura e la morte in Egitto di Giulio Regeni ha vissuto nelle ultime ventiquattr’ore una brusca, positiva accelerazione. Dopo il Presidente Mattarella si è mosso anche l’Europarlamento. Ma in Egitto le sparizioni continuano. …Leggi tutto »

La rivolta dimenticata del Bahrein, cinque anni fa

di Riccardo Noury*

Abdelkarim al-Farkhawi, 49 anni, fondatore di Al Wasat, uno dei pochi organi d’informazione indipendenti del Bahrein, morì di tortura, nell’aprile 2011. Due uomini dell’Agenzia per la sicurezza nazionale, condannati per il suo omicidio, sono già tornati in libertà. Nazeeha Saeed, giornalista indipendente, nel maggio 2011 fu torturata con la corrente elettrica, picchiata con un tubo di plastica, presa a calci e pugni.  Un agente la costrinse a infilare la testa dentro il gabinetto. Indagine chiusa per insufficienza di prove.

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La tua morte, Giulio, fa riflettere

di Cristiano Degano e Alessandro Martegani*

Nessuna morte è più importante di altre, ma la tua fa riflettere”. Queste parole, pronunciate con la voce rotta dalla commozione da uno degli amici di Giulio Regeni nel corso del funerale del giovane ricercatore di Fiumicello, riassume un sentimento condiviso da tutte le centinaia di persone presenti alla cerimonia, da tutto il paese, e anche da tutti i giornalisti italiani.

Anche l’Ordine dei giornalisti e l’Assostampa del Friuli Venezia Giulia, assieme alla Fnsi, erano presenti alla cerimonia che ha dato l’ultimo saluto a Giulio Regeni.

Pur non essendo “formalmente” un giornalista iscritto all’Ordine, Giulio lo era di fatto svolgendo il principale compito della nostra professione: raccontare e analizzare la verità, anche quella scomoda, e consentire ai cittadini di crearsi un’opinione consapevole.

Dottorando e autore di corrispondenze per alcuni media, ancorché sotto pseudonimo, stava realizzando al Cairo inchieste che ricostruivano molti angoli bui di quel paese e, probabilmente, proprio per questo è stato torturato e ucciso.

Una vicenda che ha unito tutto il paese proprio per quello che Giulio rappresenta: una nuova generazione di giovani cittadini che, nonostante la crisi, le difficoltà crescenti dalla società globalizzata, sta cercando di costruire il nostro futuro con competenza, passione, coraggio, non esitando a lasciare casa e affetti, e talvolta, come in questo caso, rischiando anche la vita.

Di fronte a tragedie di questo tipo dobbiamo riflettere, assumerci alcuni impegni: nell’immediato dobbiamo alimentare, con il nostro lavoro quotidiano, la ricerca della verità sugli assassini di Giulio. Soprattutto però dobbiamo ricordare sempre che è nostro dovere non lasciare soli questi ragazzi, garantendo loro la possibilità di formarsi a scuola e sul lavoro, con istruzione, condizioni di lavoro e retribuzioni dignitose, riconoscendo i loro meriti, consentendogli di fare esperienza all’estero, e poi magari di tornare per rendere migliore il nostro paese, difendendoli dalle minacce e da coloro che cercano d’impedire con ogni mezzo la libera circolazione delle informazioni.

L’impegno del sindacato, dell’Ordine e di tutti i colleghi non deve fermarsi. Rispettando le richieste di discrezione e la dignità della famiglia è nostro dovere ricordare l’esempio di Giulio Regeni con delle iniziative dedicate soprattutto a coloro che ogni giorno s’impegnano per garantire una corretta informazione ai cittadini, anche a rischio della propria vita. Ordine e sindacato dei giornalisti vogliono anche rendere omaggio a Giulio, e intendono farlo con ulteriori iniziative comuni da concordare con i suoi familiari.

 

*Cristiano Degano, Presidente Ordine dei giornalisti FVG

*Alessandro Martegani, Segretario Assostampa FVG

Egitto, quanto è diffusa la tortura

di Riccardo Cristiano

Il tragico epilogo della vita di Giulio Regeni era ancora lontano sul finire del 2015, quando sul sito del Tahrir Institute for Middle East Policy si potevano apprendere notizie importanti. Primo esempio: il venditore di papiri di Luxor, Talaat Shabib, e Afify Hassan,  farmacista di Ismailia,  due egiziani dalle diverse condizioni socio-economiche, hanno avuto analogo destino. Entrambi figurano nell’elenco delle 13 morte certificate durante il mese di novembre nelle stazioni di polizia egiziane, nove di esse per torture.
Ciò viene riferito in base alla circostanziata denuncia dell’ El Nadim Center for the Rehabilitation of Victims of Torture. Quattro i decessi verificati durante una solo settimana.
Le grandi manifestazioni popolari verificatesi dopo le morti di Shabin e Hassam, sottolineano al Tahrir Institute,  hanno ricordato la grande mobilitazione dopo l’assassinio di Kaled Said nel 2010, ammazzato con brutale ferocia per strada dopo averlo prelevato da un cybercafè di Alessandria. E’ noto che per quel crimine vennero operati  due arresti.  Ma sette giorni dopo quel crimine Essam Ali Atta, condannato a due anni di reclusione per “piccoli crimini comuni” e detenuto però nel carcere di massima di sicurezza di Tora, venne torturato a morte, come riferì The Guardian, per aver tentato di farsi dare una scheda telefonica. Contro di lui fu praticata la tecnica dell’ “innaffiamento forzato”, dalla bocca e dall’ano.
 Come mai accade questo? Una risposta fornita dal Tahrir Institute è questa: malgrado altri, diversi impegni internazionali, il codice penale egiziano, all’articolo 52,  condanna la tortura solo nel caso che questa venga praticata per estorcere confessioni. La pena prevista per chi violi questa disposizione va da tre a cinque anni di reclusione. Nel caso, distinto dal codice penale, di comportamenti “crudeli”, la pena scende sotto i 12 mesi di detenzione.
Per Human Rights Watch molti tribunali hanno fatto ricorso all’articolo 17 del Codice Penale per ridurre le pene, citando preoccupazioni per la carriera dei rei.
Anche qui è il caso di fornire esempi, e le fonti lo fanno: Akram Soliman, un ufficiale condannato a cinque anni di detenzione per aver fracassato il cranio di Ragaay Soltan nel 2009, è stato nominato nel 2014  responsabile della sezione diritti umani del direzione della sicurezza di Alessandria.
Islam Nabeeh invece è stato reintegrato al Ministero dell’Interno dopo essere stato condannato a tre anni di detenzione per le torture inflitte a Emad al-Kabir.
E’ in questo contesto che Human Rights Watch può affermare: ”in base a stime ufficiali rese note dall’Associated Press nel Marzo 2014, almeno 16mila persone sono state arrestate nel corso dell’ultimo anno nella repressione dei sostenitori del deposto presidente Morsi, e di altri gruppi dissidenti. Per Wiki Thawra, a cura dell Egyptian Center for Economic and Social Rights, 80 persone sono morte in prigione nell’anno passato e più di 40mila detenute tra luglio 2013 maggio 2014.”