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#NoHateSpeech. Guardian limita possibilità commenti articoli per gestire meglio discussioni

Carta di Roma

Sempre più testate si pongono il problema della gestione dei commenti. Mentre il Guardian decide di limitarli, muove i primi passi un progetto per la realizzazione di strumenti open source per la promozione di community costruttive. …Leggi tutto »

Un anno in fuga

di Loris De Filippi, presidente MSF Italia

Il 2015 è stato un anno difficile perché denso di violenze, di conflitti vecchi e nuovi e di attacchi indiscriminati ai civili. Nuove aree di crisi – in Ucraina, Yemen, Burundi – si sono aggiunte ai tanti tragici conflitti ancora in corso: Siria, Iraq, ma anche crisi decennali, come in Corno d’Africa, Afghanistan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana. Numerosi scenari che hanno spinto e continuano a spingere centinaia di migliaia di persone ad affrontare lunghi percorsi per salvare la propria vita: una vera emergenza umanitaria.
MSF li assiste nei paesi di provenienza e lungo il loro tragitto. A partire dallo scorso maggio, abbiamo avviato per la prima volta attività di ricerca e soccorso in mare. Un’operazione decisa in via straordinaria per far fronte al drammatico aumento di persone recuperate – e decedute – quest’anno nel Mediterraneo. Fino ad oggi le navi di MSF hanno soccorso più di 20.000 persone.

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Illuminare le periferie del mondo per smascherare mafie e corruzione

di Lorenzo Frigerio (Libera Informazione)

Negli ultimi decenni l’enfasi attribuita alla tematica della sicurezza, in occasione del prodursi di tragici fatti di cronaca, ha innescato inevitabilmente un corto circuito nella pubblica opinione, scatenando un surplus di aspettative sulla capacità delle istituzioni statuali e sovranazionali di risolvere le drammatiche questioni aperte tanto a livello locale che a livello planetario.
Ad aggravare un meccanismo già perverso, è arrivata la nuova minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamica, a partire dai terribili attentati del settembre 2001, con il tracollo delle Torri Gemelle a New York prima e ora, con la nuova minaccia dell’IS, manifestatasi nel cuore dell’estate 2014 e poi diffusasi nel mondo con la complicità inconsapevole (?) della rete.
Ad aggravare la percezione della sicurezza oggi più che mai è la variabile economica che influenza in modo negativo la vita quotidiana sotto diversi punti di vista. In un contesto internazionale e interno così marcato dalla precarietà, l’elemento decisivo nell’orientare politiche di inclusione e di cittadinanza rischia purtroppo di diventare l’umore viscerale della pubblica opinione: un “moloch” indistinto e, proprio per questo, spinto dalle pressioni esterne a repentini cambiamenti.

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#nohatespeech: contrastare l’odio è un dovere. La perizione su Change.org

di Domenica Canchano (Carta di Roma)

Le parole pesano come pietre e contribuiscono a innalzare i Muri dell’odio e della diffidenza verso l’altro da sé. Le parole costruiscono il senso comune, rafforzano o rimuovono quegli stereotipi coltivati ad arte da quanti sulla paura e l’ostilità verso “i migranti che portano violenza e rubano lavoro” provano a costruire le proprie “fortune” politiche.
La rete è oggi una delle trincee più avanzate ed esposte nella lotta al razzismo e alla xenofobia. Non è solo un problema di addetti ai lavori, è una “battaglia” di civiltà in cui ogni coscienza libera da pregiudizi può e deve fare la propria parte. A cominciare dal mondo, troppo spesso silente o sulla difensiva, dell’informazione.

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Quel limite fragile che deve farci riflettere

di Antonella Napoli (Italians for Darfur)

 

L’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: chiunque ha il diritto alla libertà d’opinione e d’espressione, il che implica il diritto di non essere turbato a causa delle sue opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee attraverso qualunque mezzo di comunicazione.
Sulla base di questo principio e dell’articolo della Costituzione ad esso dedicato, che chi frequenterà questo sito imparerà a conosce molto bene, Articolo21 ha sempre contrastato ogni tentativo di censura e di bavaglio, anche nei confronti di chi non fosse in sintonia con la linea editoriale.
Non potrebbe essere diversamente per chi da sempre è portavoce di coloro che vivono in realtà in cui la libertà di parola non è scontata ma è un sogno da realizzare.

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#nohatespeech e “Illuminare le periferie”, la presentazione ad Assisi

di Anna Meli (Carta di Roma)

La sfida per media liberi dai discorsi di odio riparte da Assisi. Lo scorso 6 dicembre in una splendida giornata di sole e con la città invasa da turisti e pellegrini si è svolta una doppia cerimonia che ha visto protagonista il mondo della comunicazione e i giornalisti italiani. Dalle 15 nella sala Stampa del Sacro Convento di Assisi la Rivista San Francesco, la Tavola per la Pace, il presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Umbria e l’Imam di Perugia hanno aderito ufficialmente alla campagna #nohatespeech, …Leggi tutto »

Non c’è forza più grande della parola

Di LasciateCIEntrare

Non c’è forza più grande della parola e nella libertà di poterla usare, diffondere, promuovere, comunicare. La libertà di parola è non riguarda soltanto la parola scritta o semplicemente pronunciata, bensì una più generale libertà di espressione
Esistono, oggi più che mai, parole, espressioni e discorsi che non hanno altra funzione se non quella di esprimere odio e intolleranza verso un determinato gruppo o persone. Esistono pregiudizi e stereotipi, ma soprattutto discorsi che diffondono, incitano e giustificano il pregiudizio, l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo, il disprezzo e l’offesa verso chi professa altri culti, ha diversi orientamenti sessuali è considerato, in quanto “altro” forma di disturbo ad un proprio ordine immutabile e statico. Esiste una parola, l’ hate speech, o meglio il discorso dell’odio.

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Immigrazione, le contraddizioni del Processo di Khartoum che affida la gestione dei migranti a regimi e dittatori

di Antonella Napoli (Italians for Darfur)
Quando un anno fa i rappresentanti dei paesi africani e dell’Unione Europea si riunirono a Khartoum per partecipare alla Conferenza regionale sul traffico di esseri umani organizzata dall’Unione Africana, la Farnesina annunciò che si stava compiendo “un salto di qualità importantissimo” nelle relazioni con gli stati dell’Africa sub-sahariana per “una cooperazione rafforzata e più efficace nella lotta contro l’emigrazione irregolare e la tratta di persone nel Mediterraneo”.
Su impulso del governo italiano si stavano gettando le basi per l’avvio di un dialogo rafforzato, il cosiddetto “Processo di Khartoum”.
Nella capitale del Sudan, tra il 13 e il 16 ottobre del 2014, furono stretti accordi su questioni migratorie poi formalizzati, un mese dopo, nell’ambito della IV Conferenza ministeriale euro-africana tenutasi a Roma il 27 e 28 novembre tra i ministri degli Esteri e degli Interni dei 28 Stati membri dell’Ue e dei paesi di origine e di transito della principale rotta migratoria che ha come destinazione l’Europa, la “Horn of Africa Migatory Route”, ovvero Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Tunisia.

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Antirazzismo 2.0

di Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti (Cospe)

Contrastare la diffusione dell’hate speech online contro migranti e minoranze attraverso l’educazione ai media e la responsabilizzazione delle testate giornalistiche. E’ questo l’ambiziosa strategia del progetto BRICkS che Cospe sta realizzando in collaborazione con il Centro Zaffiria ed organizzazioni in Germania, Belgio, Spagna e Repubblica Ceca.
Tutti gli studi recenti a livello nazionale ed europeo dimostrano che su siti web, blog e social network i discorsi di incitamento all’odio sono in aumento, soprattutto tra i giovani. L’ hate speech non è un problema nuovo, ma il suo impatto su Internet dà nuovi motivi di preoccupazione. Elefante nella stanza è stato definito da chi quotidianamente si trova a gestire il flusso dei commenti sui social , con la consapevolezza dell’urgenza di un’azione culturale ed educativa di contrasto alla proliferazione online di messaggi razzisti e violenti.

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Espellere l’odio dai media e formare le nuove generazioni di giornalisti

di Stefano Lamorgese, Vicepresidente Associazione Amici di Roberto Morrione

Non vorremmo più essere costretti ad ascoltare parole di odio. Non dai media: non dai giornali, né dalla rete. Non dalle radio, né dalle tv. Non dai giornalisti, almeno.
E invece accade. Accade ogni giorno, da anni: toni e parole violente diventano titoli di prima pagina, occupano i telegiornali, rimbalzano nei social media. Il ricorso ai mezzi più spicci e brutali – contro gli “zingari”, contro i “ladruncoli”, contro i “migranti”, contro i “fannulloni”, contro i “sindacalisti”, contro i “gufi”… contro qualsiasi avversario antico o recente – è invocato con parole di fuoco, lasciate sempre più irresponsabilmente libere di circolare. Strumenti razzisti di una lotta politica senza più regole.
Giudichiamo il fenomeno dai frutti che porta: pronunciate, scritte, trasmesse con l’intento di negare la dignità dei propri interlocutori, con il fine di minacciarne l’esistenza, con l’obiettivo di ridicolizzarne la personalità, i gusti, le inclinazioni – pur di raggranellare un pugno di consensi – le parole violente generano nuova violenza, fanno crescere l’odio. Un sentimento che, se alimentato, diviene irredimibile e viola i diritti elementari delle persone e finisce per minare alla radice il patto sociale che tiene insieme le comunità.

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