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Rai, del doman non c’è certezza

di Vincenzo Vita

“Chissà chi lo sa?” fu un’altra trasmissione d’annata della Rai, condotta da Febo Conti con la regia di Cino Tortorella (il mago Zurlì). Magari quel simpatico quiz interesserà a Fazio. Tuttavia, la domanda si adatta perfettamente all’azienda di oggi. …Leggi tutto »

Amore e odio

di Vincenzo Vita

Il matrimonio tra Mediaset e Vivendi (socio di controllo di Telecom Italia) e l’offerta pubblica di scambio di Urbano Cairo per Rcs Mediagroup ci raccontano un po’ dell’Italia. Sia sul versante della politica dominante, sia su quello dello stato del capitalismo. Del resto, il tenente Colombo ci ha insegnato che i particolari illuminano la scena e fanno comprendere l’ordito generale. …Leggi tutto »

Processo giornalisti turchi. Fnsi: “Va fermato. Il Governo italiano si mobiliti”

Lorusso e Giulietti (Fnsi): “Il governo italiano si attivi per evitare che il processo ai giornalisti turchi Can Dundar e Erdem Gul diventi un attentato alla libertà di stampa”

“Il processo a carico dei giornalisti turchi Can Dundar e Erdem Gul va fermato. Il governo italiano si mobiliti insieme con le altre istituzioni europee”. Alla vigilia della prima udienza del processo, fissata per domani, contro il direttore e il caporedattore del quotidiano turco di opposizione ‘Cumhuriyet’, accusati di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato, la Federazione nazionale della stampa italiana, al pari di altri sindacati europei dei giornalisti, chiede un intervento deciso sul governo turco. “Dopo aver sollevato il problema in un recente vertice dei capi di governo, tenutosi a Bruxelles – dicono Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi – è auspicabile che il premier Matteo Renzi si attivi per evitare che in Turchia vengano ulteriormente calpestati il diritto di cronaca e la libertà di stampa. Come ha ricordato Can Dundar in un articolo pubblicato su ‘Le Monde’, in Turchia i giornalisti sono liberi di fare domande, a condizione però di correre il rischio di perdere il lavoro o di finire in galera. Questa situazione ha trasformato la Turchia in una delle più grandi prigioni per giornalisti del mondo”. L’appello della Fnsi si unisce a quello che i giornalisti francesi hanno rivolto al presidente Francois Hollande, al quale hanno ricordato che non si può barattare la libertà di stampa in Turchia in nome dell’accordo fra Bruxelles e Ankara sulla crisi dei migranti.

 

 

 

Convenzione Stato-Rai. Così parlò Giacomelli

di Vincenzo Vita

Finalmente, il sottosegretario Giacomelli ha parlato concretamente della convenzione Stato-rai, in scadenza il prossimo 6 maggio. Si tratta dell’atto fondamentale per l’azienda, senza il quale l’intero apparato cessa di avere funzioni e specificità proprie del servizio pubblico, per passare alla normale lista delle società di broadcasting. …Leggi tutto »

Teatro è la vita…. e i finanziamenti?

di Vincenzo Vita

Qualcosa di nuovo dietro il sipario? Parrebbe di sì, dalla Gazzetta ufficiale, che pubblica il decreto di modifica del contestatissimo provvedimento del luglio 2014 sulle modalità di attribuzione delle risorse. Ci torniamo più avanti.  Massimiliano Civica e Attilio Scarpellini, regista l’uno e critico l’altro, hanno scritto recentemente un efficace e amaro “discorso sulla perdita di senso del teatro”, dal titolo “La fortezza vuota”. …Leggi tutto »

“Cartel Land”: Dentro il massacro

di Livio Zanotti

Dire che le immagini di Cartel Land afferrano le viscere dello spettatore e ci strizzano la sua anima è un linguaggio forte, eppure non ha neanche una sillaba d’iperbole. Le donne piegate sulle fosse in cui la terra ha appena ricoperto i cadaveri mutilati di sposi e padri prima sequestrati e poi torturati si strappano i capelli e davvero preferirebbero -e questo gridano- essere state anch’esse sepolte, distese accanto alle vittime. Le sparatorie crepitano incessanti, gli oltraggi più orrendi puniscono la dignità di quanti resistono: l’ansia che suscitano in chi semplicemente guarda, difficile da sopportare. Appena alleviata dalla legittima reazione delle vittime (da vecchio Testamento, “occhio per occhio” diventa cronaca nera). Viene da girare la testa dall’ altra parte e ricordare l’ammonimento di Walter Benjamin sul pericolo di estetizzare il male: la morte ingiusta si confonde con quella ingiusta ed entrambe escono dalle rispettive realtà, diventando mito. Quand’ anche riesce di sottrarle ogni enfasi, resta il rischio dell’assuefazione.

Premiato al Sundance Festival di Robert Redford, sospinto dal vento turbinoso degli Oscar è arrivato a Buenos Aires il video che presenta il doc-film dell’americano Matthew Heineman sul medico messicano José Manuel Mireles, la cui drammatica sorte è stata fatta presente anche a papa Francesco nel suo recente viaggio nella terra di Montezuma. Una vicenda di apostolato armato e combattente contro la turpe violenza dei narcotrafficanti, non priva di risvolti grotteschi, che tuttavia non ne offuscano la natura sofferta e avrebbe di certo commosso la sensibilità di Miguel de Cervantes. Un medico intorno alla cinquantina lascia il bisturi per le Colt 45 e le mitragliette Uzi che mette al servizio dei suoi concittadini di Tepalcatepec, tra il mare azzurro di Acapulco e Città del Messico. Li organizza per difenderli dai soprusi sanguinosi e umilianti cui li sottopongono senza tregua né pietà i narcotrafficanti riuniti nel cartello dei Templari.

Ci si domanda dove sia lo stato: il Messico è una grande potenza industriale, socio privilegiato degli Stati Uniti e partner commerciale importante dell’economia europea. Le sue forze armate sono numerose e ben armate, al loro interno agiscono però interessi contrapposti: sospetti e prove di corruzione e complicità sono ogni giorno sui giornali, non di tutti ma di più d’uno. Il regista Heineman è andato e rimasto un anno tra le belle architetture coloniali di Tepalcatepec, le campagne e i monti circostanti. E ne ha testimoniato la cupa brutalità esercitata contro i più deboli. Ha filmato giorno dopo giorno la vita tormentata dei suoi abitanti, a cominciare da quella del dottor Mireles, che appare come un clone tra Clint Eastwood e Gian Maria Volontè nei film western di Sergio Leone: sombreros di tre quarti sul volto baffuto e spavaldo. “Basta di attendere che ci vengano a cercare nell’ istante in cui siamo più indifesi…”, dice a un tratto guardando nella camera da presa.

Lo stato si fa infine presente: nel mezzo di sparatorie acerrime tra Templares e la polizia popolare di Mireles che lasciano cadaveri dappertutto, decreta l’assoluto divieto di detenere armamento militare. Ma i narcos sono difficili da scovare. Il dottor Mireles sta invece a casa sua: l’esercito va, perquisisce, sequestra carabine, pistole e lo arresta in flagranza di reato. Per essere certi di non dover tornare un’altra volta, gli trovano anche un po’ di cocaina nell’ auto parcheggiata a pochi metri. Processato e condannato, dal giugno 2014 Mireles è detenuto in un carcere di massima sicurezza nello stato di Sonora, nel nord-ovest messicano. Non se la passa bene. A visitarlo sono quasi soltanto gli avvocati. Dalla moglie si era separato per amore di una bellissima ragazza diciassettenne, bruna dallo sguardo incendiato e avventurosa. Gli si è aggravata la forma di diabete di cui soffriva già precedentemente alla detenzione e ultimamente è stato preso da una travolgente crisi mistica.

Nel celeberrimo testo sacro dell’induismo Bhagavad-Gita (che in Europa ha avuto lettori d’ogni specie, da Nietzsche a Benedetto Croce, a Mussolini, Hitler e alla sua cerchia esoterica), alla vigilia di una battaglia il principe-guerriero Arjuna domanda a Krishna se sia consentito al Giusto commettere ingiustizia per favorire la vittoria della giustizia. Un quesito che il cinema sia di ficcion sia documentario come questo di Heineman declina ormai da lungo tempo con totale disinvoltura. I suoi sempre più numerosi agenti speciali, compresi quelli dotati di maggiore autoironia come James Bond (soprattutto nelle versioni precedenti a quest’ultima interpretata da Daniel Craig), bonariamente o meno travolgono senza batter ciglio ogni regola che possa intralciare l’azione della loro spada al servizio del bene finale. E non sembra che il pubblico dissenta, semmai si ha l’impressione del contrario.

Nella risposta ad Arjuna, Krishna suggerisce al guerriero di “non lasciarsi mai coinvolgere del tutto” (affinchè l’orrore della violenza non si impadronisca di chi la compie. Quando l’azione è particolarmente cruenta, il cinismo deve quindi accompagnare il violento per preservarlo da se stesso.) Nel Messico d’oggi, i poteri separati che ad un tempo colludono e si combattono, hanno sostituito gli antichi guerrieri con spietati sicari che sembrano aver interiorizzato l’idea di Krishna e non c’è nefandezza di fronte a cui arrestino il proprio braccio. Dall’altra parte della vita quotidiana e dell’idea che ciascuno ne ha, spauriti e tuttavia risoluti a non lasciarsi disumanizzare, i ribelli all’ oppressione reagiscono stretti tra la disperazione e l’azzardo estremo.

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Senza Eco…. la sua Rai e la Rai di domani

di Vincenzo Vita

Si sono celebrate a Milano le esequie di Umberto Eco e, con la partecipata cerimonia laica, è calato il sipario sull’incredibile storia di un fuoriclasse del lavoro intellettuale, noto nel mondo all’incirca come i Beatles. Rileggere, tra l’altro, il suo “Apocalittici e integrati” (1964) fa bene alla salute mentale e fornisce a coloro che si occupano di comunicazioni di massa categorie analitiche e strumenti cognitivi pressoché perfetti: senza tempo. Una sorta di breviario, che ci accompagna lungo i sentieri dell’Alto, del Medio e del Basso, senza gerarchie prestabilite ma con l’attenzione rabdomantica verso le strategie del desiderio. Per capire ciò che accade sotto la superficie dei segni, e dunque quei rivolgimenti che le élites stentano a comprendere.

Uno dei luoghi dell’azione poliedrica di Eco fu la Rai. Fu un momento particolare per la vita di un’azienda che aveva da essere “di servizio”, non puramente ancorata al mercato. Talmente particolare che i giovani si chiamavano Angelo Guglielmi, Emanuele Milano, Gianfranco Bettetini, Raffaele Crovi, Riccardo Venturini, Piero Angela, Mario Carpitella, Francesca Sanvitale, Fabiano Fabiani, Enrico Vaime, Luigi Di Gianni nel “concorsone” del ’55; Furio Colombo, Gianni Vattimo, Umberto Eco nella selezione dell’anno precedente. Poco dopo fu la volta di Andrea Camilleri. Una Rai pur dominata dall’esprit democristiano e segnata dal clericalismo censorio ebbe il coraggio di aprire i cancelli alle culture contemporanee. Simile esigenza prevaleva sui lacci politici e ideologici. Perché si immaginava per la Rai un futuro da grande fucina, da prima industria dell’immaginario. Il protagonista di tale iniziativa progressista voluta dai conservatori (spesso accade il contrario, come sappiamo) fu il capo-azienda Filiberto Guala, devotissimo tanto all’Onnipotente quanto al bene del servizio pubblico.

A quei nomi corrisposero numerosi dei programmi di successo, dalle rubriche culturali, al varietà, ai famosi sceneggiati. Fino ai quiz, in grado di suscitare un movimento di pubblico come difficilmente è successo in seguito. Fu la fenomenologia di Mike Bongiorno a imporsi, grazie ad Eco che, oltre a scrivere gran parte delle domande dei quiz, riuscì a ricavarne un saggio travolgente, valido per tutti i Mike di ogni epoca. Insomma, un’altra Rai, rispetto a ciò che oggi abbiamo in eredità. Sarebbe opportuno riflettere seriamente sui vari perché del declino, tuttavia il tonfo risulta evidente. Senza ingiuste generalizzazioni, è doveroso prendere atto della realtà. E vogliamo raffrontare –senza offesa per le persone- le nomine dell’epoca con quelle attuali, a partire dalle recenti scelte per la direzione delle reti? E’ la cultura deteriorata, o sono i sensori dei vertici ad essersi offuscati? Ci sono tante più cose tra viale Mazzini e il mondo di quanto la leadership supponga, per parafrasare. Il partito nella nazione ha imposto valium e camomilla. La prova provata della crisi profonda è l’assenza di progettualità, che ridisegni la Carta fondamentale del servizio pubblico nell’era della rete. La Rai di Eco pensava all’alfabetizzazione degli italiani e a conti fatti riuscì nell’intento, pur ammantata di ideologia. La Rai di domani, in fondo, ha un compito simile, declinato con e nell’ambiente digitale. Ciò richiede, forse, anche un nuovo “concorsone”, che porti ad un ricambio coraggioso e non calato dall’alto in modo arbitrario.

Qualche anno dopo Guala prese i voti ed entrò in convento. Chissà se l’odierno amministratore delegato vorrà seguirne l’esempio.

Siria, ancora bombe su Msf e scuole. Il diritto umanitario non esiste più

di Antonella Napoli

Ahmed aveva pochi giorni. Era nato prematuro ed era in un’incubatrice del reparto di neonatologia dell’ospedale pediatrico di Azaz, in Siria, uno dei cinque colpiti dai bombardamenti russi che lunedì scorso, solo in questa struttura, hanno provocato 14 morti, tra cui Ahmed e altri due bambini.
Un servizio di Sky News ci ha mostrato in tutta la sua drammaticità gli attimi successivi all’impatto delle bombe: nel filmato si sente un allarme incessante che suona a volume altissimo mentre nelle incubatrici i neonati piangono disperati. Nessuno si occupa di loro, infermieri, medici e pazienti sono nel panico. Si cerca di portare aiuto a chi è ferito, riverso a terra tra i detriti. Ahmed non sopravviverà.
Scene da una guerra che non conosce più limiti, che non dovrebbe nemmeno sfiorare ospedali e altri luoghi in cui viene prestata assistenza e aiuto ai civili. Come quelli di Medici senza frontiere, presi di mira per la quinta volta.  Il 15 febbraio un ospedale dell’organizzazione non governativa è stato distrutto da un attacco aereo, il 5° subito nel solo 2016 in Siria. Sono morte almeno 14 persone e il bilancio è destinato a salire, molti feriti sono in condizioni disperate.
Msf, che nel Paese supporta 150 strutture, ha denunciato che 40.000 persone sono rimaste senza alcuna assistenza medica in una delle zone di conflitto più colpite dai raid aerei.   Alla fine il bilancio di morte nella sola giornata di lunedì, con 5 ospedali e due scuole bombardate, è stato di 60 vittime, tra cui alcuni bambini, e decine di  feriti.
Nell’annunciarlo Farhan Haq, vice portavoce del Segretario generale dell’Onu, ha rilevato come in Siria si sia raggiunto ormai un livello inaccettabile di mancanza di rispetto delle più elementari regole del diritto umanitario.
Gli attacchi avvenuti nella zona tra Aleppo ed Iblib, sono una indiscutibile violazione degli accordi internazionali. Attacchi che mettono in ombra le promesse fatte dalle parti in conflitto nel corso della conferenza sulla Siria a Ginevra della scorsa settimana.
Le tiepide speranze dopo l’annuncio di un cessate il fuoco, con la garanzia dello stop ai massacri di adulti e bambini indifesi, sono dunque state infrante nel modo più tragico: dalle bombe che in Siria non si fermano neanche davanti a civili innocenti.

 

Canone bollito

di Vincenzo Vita

Dopo l’indubbio successo di pubblico (52% di share) del Festival di Sanremo e il non meno significativo risultato (27%) della serie breve sul poliziotto-eroe Roberto Mancini scomparso per gli esiti devastanti anche per il corpo della “Terra ei fuochi”, la Rai è tornata al realismo. Vale a dire, l’essere un servizio pubblico controllato a vista dal governo –insieme ai compagni di viaggio di Ungheria, Bulgaria e Polonia- ma nel contempo abbandonato a se stesso. …Leggi tutto »

Shawkan in carcere ancora in attesa del processo

Sono passati ormai due anni e mezzo e il fotoreporter egiziano Mahmoud Abu Zeid, meglio noto come Shawkan, attende ancora il processo. L’ultimo rinvio risale al 6 febbraio: se va bene, la prima udienza si terrà a metà marzo. …Leggi tutto »