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Giornalismo non è per cinici. Intervista a Andrea Melodia

di Barbara Scaramucci

Andrea Melodia è stato oltre 40 anni alla Rai, dove ha ricoperto numerosi importanti incarichi giornalistici ed è stato direttore della struttura che poi è diventata Rai Fiction e vice direttore vicario di Rai Uno. Ha diretto anche Telemontecarlo ed è stato per due mandati – il massimo previsto dal regolamento associativo – presidente dell’Unione Cattolica Stampa Italiana, che nel congresso dei giorni scorsi ha eletto al suo posto Vania de Luca. Il 15 marzo Melodia, con l’Associazione Dirigenti Pensionati Rai, organizza nella sede centrale della Rai un convegno sulla riforma del servizio pubblico alla vigilia del rinnovo della convenzione con lo stato. …Leggi tutto »

Egitto cambia strategia

di Elisa Marincola

La vicenda diplomatica e investigativa sulla tortura e la morte in Egitto di Giulio Regeni ha vissuto nelle ultime ventiquattr’ore una brusca, positiva accelerazione. Dopo il Presidente Mattarella si è mosso anche l’Europarlamento. Ma in Egitto le sparizioni continuano. …Leggi tutto »

UE fermi la Turchia autoritaria

Francesca Chiavacci, Presidente Nazionale ARCI

Uno stato che chiude giornali, ne occupa le sedi, arresta giornalisti e cerca di mettere a tacere i social network è uno stato autoritario. Non lo si può definire altrimenti. La Turchia, membro della Nato, oggi é questo ed è un dato gravissimo, insopportabile, inaccettabile. I fatti della vicenda Zaman sono solo gli ultimi di una serie troppo lunga e che, temo, non è ancora giunta a termine. …Leggi tutto »

Il museo del Bardo a Lampedusa, un ponte di pace sul Mediterraneo

di Valerio Cataldi

Mentre l’Italia va verso la guerra in Libia e non solo, c’è un’altra Italia che costruisce ponti di pace con l’altra sponda del Mediterraneo. “Ponti fondati sulla cultura, sulla certezza che abbiamo radici comuni” dice Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa mentre sorvoliamo il mare. Destinazione Tunisi, Museo del Bardo dove un anno fa i kalashnikov del sedicente stato islamico facevano strage di turisti. …Leggi tutto »

Turchia, Non vi immischiate

di Massimo Marnetto

Non vi immischiate su come trattiamo la stampa dissidente, altrimenti vi bombardiamo di migranti. …Leggi tutto »

#IoNonStoZitta, il 7 marzo in Fnsi l’iniziativa della Commissione pari opportunità

Lunedì 7 marzo 2016, dalle 10.30 alle 13.30, la Commissione Pari Opportunità della Fnsi, in collaborazione con Amnesty International, Articolo 21, Cpo Usigrai, GiULiA, Gruppo di lavoro pari opportunità Ordine dei Giornalisti, Italians for Darfur, Ossigeno per l’Informazione e Rsf Italia organizza #IoNonStoZitta, incontro con le croniste minacciate per la libertà d’informazione. …Leggi tutto »

Turchia, Firmiamo contro la censura

di Antonella Napoli

Erdogan prova a zittire con la forza la stampa libera. La comunità internazionale si mobiliti per fermarlo

Il blitz nella sede di Zaman delle forze di sicurezza turche è scattato nella notte. I poliziotti prima hanno usato idranti e lacrimogeni per farsi strada tra i lettori e gli attivisti che si erano radunati sotto la redazione del più diffuso giornale dell’opposizione, che il giorno prima era stato posto sotto amministrazione fiduciaria governativa da un tribunale di Istanbul, poi hanno fatto irruzione cacciando i dipendenti e i giornalisti della testata. …Leggi tutto »

Challenging the Crisis – Sfidiamo la Crisi

Firma la petizione “sostieni l’Economia Sociale e Solidale” sul sito http://www.challengingthecrisis.com/en/action/ . Economia Sociale e Solidale è un modo nuovo di concepire l’economia; un’economia che mette le persone al centro, i cui valori fondanti sono: i Diritti Umani, la democrazia, la solidarietà, l’inclusione, la sostenibilità, la diversità, lo sviluppo, l’uguaglianza, l’equità e la giustizia per tutti. …Leggi tutto »

Turchia, lacrimogeni contro libertà di stampa

di Stefania Battistini
In Turchia si silenziano anche così i giornalisti considerati d’opposizione. Non solo con licenziamenti e arresti, ma anche con lacrimogeni e cannoni ad acqua. Le immagini arrivate ieri da Istanbul sono l’ennesima ferita alla democrazia: dentro la redazione, la polizia che irrompe della sede di Zaman, il quotidiano più diffuso del paese, usando gas al peperoncino; fuori, gli agenti con gli idranti , disperdono le centinaia di persone accorse per protestare contro l’ennesima violazione della libertà di stampa. Perché – dopo decine di arresti, centinaia di licenziamenti, televisioni e siti web oscurati – due giorni fa è arrivata anche la decisione del Tribunale di commissariare il gruppo Zaman Media (che controlla il giornale turco Zaman, l’edizione inglese Today’s Zaman, l’agenzia di stampa Cihan, il settimanale Aksiyon e la tv Samanyolu) afferente alla galassia mediatica di Fethullah Gulen, l’imam che fu alleato di Erdogan, poi diventato il suo peggior nemico dopo la Tangentopoli turca nel 2013 secondo Erdoğan orchestrata proprio da Gulen per rovesciarlo. E così, l’imam si è autoesiliato negli Usa e Zaman è diventato una delle maggiori voci di opposizione in Turchia.
Da questa situazione arriva il commissariamento, l’accusa di “propaganda terroristica” a favore, appunto, di questo presunto “stato parallelo” creato dall’ex alleato per sovvertire il presidente. Due settimane fa l’ex direttore Ekrem Dumanli è finito in carcere. E ieri i colleghi giornalisti – quello che dovrebbe essere “il quarto potere” a controllo delle altre istituzioni – sono stati costretti a entrare in una redazione presidiata dalle forze di polizia. Abdullah Bozkurt, uno dei più noti editorialisti, ha twittato: “Ecco come noi giornalisti dobbiamo fare il nostro lavoro: sotto il controllo delle forze speciali e con la polizia dentro gli uffici”. Eppure, nonostante l’assalto degli agenti, la redazione è riuscita a pubblicare sul suo sito le immagini dell’irruzione, provocando finalmente una reazione da parte dell’Europa alla vigilia di un incontro chiave a Bruxelles tra il governo turco e l’UE sulla questione dei rifugiati, con la Turchia forte della situazione di emergenza che vive l’Europa, pronta a dare a Erdoğan tre miliardi per bloccare i profughi. Questa volta l’UE sembra, almeno a parole, aver preso una posizione netta. Il presidente del Parlamento, Martin Schulz, ha annunciato che lunedì chiederà spiegazioni al premier Davutoglu: “Il sequestro di Zaman è un altro colpo alla libertà di stampa in Turchia. Se qualcuno non è d’accordo con le notizie di un giornale dovrebbe opporsi con i fatti, non imbavagliando il giornalismo”.
Le preoccupazioni – prima di firmare un patto difficile da sciogliere sui rifugiati – riguardano proprio i l possibile ingresso della Turchia nell’Ue. Il commissario all’allargamento, Johannes Hahn, si dice “estremamente preoccupato per quanto accaduto a Zaman”, mentre dagli Usa il Dipartimento di Stato bolla come “inquietanti” le azioni giudizi arie per mettere a tacere i media: “la Turchia è candidata all’adesione e deve rispettare la libertà di stampa. I diritti fondamentali non sono negoziabili”, ha detto il portavoce Kirby. L’accusa di “propaganda terroristica” si ripete continuamente, come se nel Paese che fu di Atatürk funzionasse il sillogismo per cui chi ha opinioni diverse dal partito al potere (e l’Akp di Erdoğan controlla presidenza della Repubblica e maggioranza parlamentare) è per forza un terrorista, un attentatore alla sicurezza nazionale. Con la magistratura – formalmente un potere indipendente – invece fortemente influenzata dalle volontà del Capo dello Stato, come quando, dopo la pubblicazione dell’inchiesta sul traffico d’armi verso la Siria firmato da Dündar e Gul su Cumhuriyet, Erdoğan tuonò contro i giornalisti: “La pagherete”, disse, e ne ordinò l’arresto per rivelazione del segreto di Stato e attentato alla sicurezza nazionale. Lui in persona firmò la richiesta e la magistratura eseguì. Fino alla decisione della Corte Costituzionale di scarcerare i due reporter perché ha giudicato una “violazione dei diritti” la loro detenzione in attesa di giudizio. In particolare la Corte ha stabilito che sono stati violati i “diritti individuali, la libertà di espressione e di stampa” dei giornalisti, citando gli articoli 19, 26 e 28 della Carta. Insomma, esiste ancora un giudice a Berlino, retaggio dell’impostazione laica dello Stato realizzata da Mustafa Kemal Atatürk a inizio del secolo scorso. Ma l’incubo non è finito, perché i due giornalisti sono stati sì scarcerati, ma rischiano comunque l’ergastolo solo aver avuto il coraggio di scrivere su territorio turco quello che raccontano molti giornali internazionali: gli ambigui rapporti tra l’Isis e il paese e la drammatica situazione curda, la cui popolazione civile viene costantemente sotto i bombardamenti, attaccata dall’esercito.

Il Nobel a Lesbo e Lampedusa!

di Giuseppe Giulietti

Diamo il premio Nobel per la pace alle comunità di Lampedusa e di Lesbo..” , queste le parole che il regista Gianfranco Rosi, vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino, ha voluto dedicare a due comunità che sono diventate il simbolo della solidarietà, della inclusione, della accoglienza verso chi fugge da fame, guerra e terrore.

Il suo film ” Fuocoammare” è un’opera tragica, disperata, ma illuminata non solo dal fuoco della violenza e dell’odio, ma anche dalla luce della passione civile e della dignità umana.
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